Federico I di Svevia e il Sacro Romano Impero

Federico I di Svevia e il Sacro Romano Impero

Era figlio del duca di Svevia, Federico II Staufer o Hohenstaufen, detto il guercio (1090 – 1147) e di Giuditta di Baviera, figlia del duca di Baviera, Enrico il Nero e di Wulfhild, la figlia del duca Magnus di Sassonia.

L’ascesa al trono

Non sono noti con certezza il luogo e la data di nascita di Federeico di Hohenstaufen. E’ tuttavia quasi certo che sia nato nel castello di Waiblingen, nella prima metà degli anni venti del XII secolo, le ipotesi spaziano dal 1118 al 1125. Il padre che portava il suo stesso nome, era Federico II duca di Sveva, la madre di Federico era Giuditta di Baviera. Federico, nel 1147, cpme Federico III, successe al padre nel titolo di duca di Sveva e nello stesso anno si aggregò allo zio, Corrado III, imperatore del Sacro Romano Impero. Re di germani fu eletto Federico III di Sveva che prese il nome di Re Federico I. Fu incoronato ad Aquisgrana, il 9 Marzo 1152 all’età di circa trent’anni.

Le guerre in italia

Nell’Ottobre 1154 federico partì dal Tirolo e scese in Italia alla testa di un piccolo esercito e passato all’zione di forza distrusse alcune località minori come Galliate e alcuni Comuni maggiori come Asti e Chieri, poi fu messo l’assedio a Tortona, alleata di Milano (quest’ultima aveva rifiutato le decisioni dell’imperatore e non aveva agevolato il passaggio delle truppe imperiali sul territorio). Tortona che si era arresa per sete dopo due mesi, nell’Aprile 1155 era stata rasa al suolo ed i suoi abitanti dispers. Milano aveva ripreso ad agire con una certa autonomia, provvedendo, per esempio alla ricostruzione di Tortona, Federico decise per una seconda discesa in Italia, assediò Milano, obbligandola dopo un mese a sottoporre all’approvazione imperiale la nomina dei suoi consoli.

Milano intanto continuava a rifiutare le direttive imperiali, la lotta infuriò, con alterne fortune, su tutta la pianura lombarda, che fu devastata. Nella primavera del 1161, ricevuti rinforzi da Germania e Ungheria, Federico poté porre l’assedio alla città. Gli assediati resistettero con ostinazione per circa un anno: il 10 marzo 1162 Milano fu costretta alla resa e subito dopo iniziò la sua distruzione ed i milanesi furono dispersi in quattro diverse località. Distrutte le mura di Brescia e Piacenza, che dovettero accettare i funzionari imperiali.

Federico Barbarossa, all’apogeo della sua potenza, fece ritorno in Germania. Nella primavera del 1176, a Chiavenna, Federico ebbe un incontro con Enrico il Leone ed altri feudatari per ricevere truppe per proseguire la campagna d’Italia, ma quando i rinforzi militari arrivarono, sempre in primavera, Federico si accorse che non erano così numerosi come aveva sperato e soprattutto mancava il cugino Enrico. E proprio mentre, aggregatesi le truppe di rinforzo, lasciate le vallate alpine, aveva ripreso la marcia verso sud, l’imperatore venne travolto a Legnano il 29 maggio 1176 dall’esercito della Lega, incappando in una disastrosa sconfitta, della quale massimi artefici furono non a caso i milanesi. Gli stessi, suddivisi in due compagnie, del Carroccio e nella compagnia della Morte, impedirono che si convertisse in fuga precipitosa il primo ripiegamento cui la cavalleria tedesca aveva costretto parte dell’esercito lombardo, dopodiché spinsero quest’ultimo al decisivo contrassalto.

Dopo aver ricevuto le non molte truppe di rinforzo dalla Germani , l’imperatore lasciate le vallate alpine, da Como aveva ripreso la marcia verso sud, diretto verso Pavia, per riunirsi col resto del suo esercito, per poi attaccare l’esercito della Lega lombarda. Questi ultimi che ne seguivano i movimenti avanzarono velocemente per impedire la manovra di ricongiungimento. Furono le due avanguardie di fanti a incontrarsi e a iniziare lo scontro: 700 fanti della Lega Lombarda, in maggioranza truppe provenienti proprio da Legnano, si trovarono ad affrontare 300 fanti imperiali. La battaglia durò una ventina di minuti fino a quando l’imperatore Federico Barbarossa sopraggiunse coi suoi cavalieri e caricò i lombardi. Dapprima ebbero la meglio le truppe imperiali tedesche; la loro cavalleria pesante costrinse le prime file dell’esercito lombardo ad indietreggiare, anche in preda alla confusione, sino a che si trovano raggruppati attorno al carroccio.

L’avanzata della cavalleria tedesca, non riuscendo a infrangere la resistenza disperata dei fanti che difendevano il centro dello schieramento lombardo, fu arrestata intorno al carroccio. Intuendo che il cuore della battaglia era ormai intorno al carroccio, Federico Barbarossa, col coraggio che gli era abituale, si gettò nel bel mezzo della mischia, cercando di incoraggiare le sue truppe, senza apprezzabile risultato. Per giunta l’imperatore nel fervore della battaglia venne disarcionato e sparì alla vista dei combattenti, per cui i tedeschi cominciarono a scoraggiarsi e andarono incontro ad una sconfitta totale, con perdite molto pesanti. Sotto la bandiera della loro coalizione, i soldati lombardi, in inferiorità numerica e stanchi, resistono contro un esercito riposato, superiore e per di più a cavallo.

Fra i motivi di tale energica resistenza bisogna elencare probabilmente la convinzione dei lombardi nel combattere per la loro libertà ma soprattutto il fatto che gli eventi della battaglia li portarono a raggrupparsi proprio sotto il loro simbolo. Sul carro era posta la croce di Ariberto d’Intimiano che tenne alto il morale a questi fanti e permise loro di resistere fino all’arrivo dei rinforzi, ma oltre a ciò, proprio per stare attorno al carroccio (che è un carro molto grande dal quale i comandanti impartiscono gli ordini) i fanti lombardi formarono inavvertitamente uno schiltron.

Lo schiltron è una formazione di lancieri in cerchio, che replica la formazione che assumono i buoi muschiati quando sono in branco e si trovano aggrediti dai lupi. Le lance, tutte rivolte all’esterno, devono sicuramente essere le prime responsabili della vittoria lombarda. Per tutti questi motivi i fanti lombardi resistono valorosamente fino a quando alcuni cavalieri fuggiti durante la carica della cavalleria imperiale raggiungono Milano ed avvisano la cavalleria lombarda, che giunge sul campo di battaglia in tempo utile per attaccare e disperdere le forze imperiali. Alla testa della cavalleria lombarda si trova la Compagnia della Morte composta da 900 cavalieri e guidata, secondo la tradizione popolare, da Alberto da Giussano, un leggendario cavaliere lombardo, e che pare provenissero principalmente da Brescia e da altri comuni della Lombardia orientale. La compagnia è un gruppo di cavalieri scelti che ha giurato di proteggere il proprio comandante fino alla morte. Questi ultimi dirigono la carica finale contro l’esercito imperiale, che viene messo in rotta : l’imperatore, disarcionato, si trova a dover fuggire a piedi.

La battaglia di Legnano rappresenta uno dei primi esempi in cui la fanteria medievale ha dimostrato il suo potenziale tattico nei confronti della cavalleria. La vittoria va però anche ripartita con la cavalleria leggera comunale, che assestò la carica decisiva contro gli imperiali.